di Lucia Pillon
Durante la seconda metà dell’Ottocento e nel primo decennio del XX secolo Gorizia crebbe parecchio . La nuova stazione della ferrovia Meridionale fu collegata al vecchio nucleo cittadino da un viale, da cui si diramò un reticolo di strade. L’intera area fu occupata progressivamente da nuove costruzioni, in linea con un piano regolatore elaborato allo scopo. Alle nuove vie era necessario, a quel punto, dare un nome.
Corso Francesco Giuseppe I La ricorrenza del primo genetliaco di regno , nel 1873, permise d’intitolare al sovrano la contrada del Corso, già via della Stazione, che diventò corso Francesco Giuseppe I.
178 nuove intitolazioni Tre anni dopo l’amministrazione comunale diede il via, con deliberazione consiliare del 1° ottobre 1876, a una vera e propria rivoluzione toponomastica. Il manifesto che notificò il provvedimento ai cittadini riportava ben 178 intitolazioni, riguardanti arterie nuove e vecchie.
Pubblici benefattori Molte ricordavano pubblici benefattori: Giovanni Battista Formica, autore di legati per provvedere di dote un certo numero di fanciulle indigenti, Giovanni Contavalle, il sacerdote bolognese fondatore dell’omonimo orfanotrofio femminile, e Francesco Alvarez de Menesses, marchese di origine spagnola morto a Gorizia nel 1753, destinando un lascito notevole all’apertura di un istituto per orfani, poi convertito in ospedale affidato alla gestione dei Fatebenefratelli. Sorgeva a un lato del viale di Studeniz, che l’amministrazione dedicò nel 1876 alla sua memoria. Una nuova via a ovest del corso Francesco Giuseppe, prese allora il nome di un altro spagnolo, il capitano Giuseppe Vandola, che aveva servito l’imperatore Carlo VI ed era morto a Gorizia nel 1748, destinando pure lui un lascito ai poveri.
Dimostrazione di italianità. Attribuendo altre denominazioni l’amministrazione comunale trovò il modo, invece, di dimostrare la propria italianità: furono intitolate rispettivamente a Dante e a Petrarca le vie ai lati del giardino pubblico, aperto alla metà dell’Ottocento su fondi già privati, e che confluivano nella centrale via del Giardino, che a marzo del 1901 diventò corso Giuseppe Verdi. Tra il 1876 e il 1900 si continuò a dare un nome a più arterie, laterali e parallele all’altro corso, quello intitolato all’imperatore. Furono via Carlo Czoernig (l’attuale via Riccardo Pitteri), via Luigia (ora via Brigata Casale) e via Angiolina, rispettivamente intitolate a Luigia Ritter de Zahony e ad Angiolina Sartorio, moglie di Enrico Ritter de Zahony e filantropa. Nell’area compresa tra il corso e la via del Teatro (dopo la Grande guerra intitolata a Garibaldi) furono via Andrea Mattioli, dedicata al grande botanico vissuto a Gorizia nel Cinquecento e via Pier Antonio Codelli, letterato monsignore del Settecento; la piazza già detta del Fieno divenne piazza Carlo Bertolini, dal nome del fondatore dell’associazione “Pro Patria”. In base alla deliberazione del 4 giugno 1903 ricordarono Michelangelo Buonarroti e Antonio Canova le strade poste ai lati di quello che dal 1827 era stato il cimitero cittadino, dal 1880 un parco civico – e che diverrà parco della Rimembranza. Fu per rispettare il perimetro dell’originario camposanto che il tracciato del corso, rettilineo, subì qui una lieve deviazione.
Dopo Caporetto mutarono d’autorità le denominazioni che prima del conflitto erano servite a sottolineare il carattere italiano della città: le vie Petrarca e Dante furono intitolate l’una all’ammiraglio Wilhelm von Thegethoff (1827-1871), artefice nel 1866 della vittoria di Lissa, sulla flotta italiana, l’altra al feldmaresciallo Radetzky (1766-1858).
A guerra finita. Riprenderanno il nome precedente a guerra finita, quando a molte strade sarà affidato il compito di mantenere la memoria della guerra, all’interno di una città di cui il nome, associato all’attributo di «maledetta», o «redenta» o «santa», era destinato a rimanere legato al conflitto.
Corso Vittorio Emanuele. Il secondo corso assunse ufficialmente la denominazione che dopo la presa di Gorizia aveva ricevuto di fatto, almeno a volersi attenere a quanto scrisse Ugo Ojetti (1871-1946) nel primo dei sette volumi in cui a partire dal 1921 raccolse, sotto il titolo di Cose viste, la lunga serie di racconti brevi, ritratti, pensieri che aveva pubblicato nel “Corriere della Sera”. Arruolatosi volontario, Ojetti era stato incaricato nel 1915 della tutela dei monumenti nelle zone toccate dal conflitto. A Gorizia era arrivato fra i primi – il che gli meritò una medaglia di bronzo – e ricordava: «Sulla cantonata di faccia tre fanti sono saliti l’uno sulle spalle dell’altro. Quello in cima reca uno striscione di carta; quello di mezzo un pentolone di colla. Sulla tabella “Corso Francesco Giuseppe” incollano il nome nuovo: “Corso Vittorio Emanuele”. – Bravo, chi te l’ha detto? – Nessuno, signor tenente; chi ce l’aveva da dire?».
Anni Trenta Negli anni successivi e durante gli anni Trenta la toponomastica urbana continuò a cambiare. A maggio del 1930, per esempio, via Alvarez diventò via Armando Diaz; con deliberazione podestarile del 6 dicembre 1935 la via già intitolata al capitan Vandola prese il nome di Giovanni Pascoli; tra 1938 e il ’40 la piazza Bertolini, già del Fieno, divenne piazza Divisione Julia.
Durante e dopo la guerra In anni successivi cambierà il nome anche corso Vittorio Emanuele III, intitolato prima a Ettore Muti, morto nel 1943 e idealizzato dalla Repubblica Sociale, poi al Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt.
Corso Italia Con deliberazione del 3 aprile 1951 assunse l’attuale denominazione di corso Italia.
Questo articolo tanto denso di nomi si conclude con una sua descrizione. La dobbiamo a Sofronio Pocarini, morto nel 1934, animatore del locale Futurismo e dal 1922 giornalista. Suo fratello, il germanista Ervino Pocar (1892-1981), ne raccolse più articoli in Mio fratello Sofronio, edito nel 1976. Fra i tanti “L’abbellimento di Gorizia”, in cui Pocarini informava degli interventi che, in quegli anni di ricostruzione, i tecnici comunali dedicavano al corso. Di quell’articolo rileggiamo le righe dedicate al corso, progettato per scorrere ampio e spazioso: «Oggi tutti sanno che la sistemazione è avvenuta e persino migliorata con la scomparsa del tram e con la coltivazione dei rosai a festone tra un platano e l’altro. Il forestiero che oggi, specie nel mese di maggio, esce dalla stazione centrale e s’avvia per entrare in città, non può che ammirare stupefatto quei filari di platani maestosi e quei festoni di rose fiorite che la popolazione consapevole di tanta bellezza rispetta e difende (chi strappa una rosa dev’essere preparato a sentire quanto è salata la multa).»