di Claudio Cressati, Presidente dell’Accademia Europeista
La pandemia da Covid-19, da cui stiamo faticosamente uscendo, ha rappresentato per molti una fase traumatica, sia dal punto di vista della salute che delle prospettive di vita e di lavoro e ha costretto tutti a ripensare a numerosi aspetti della propria attività e delle proprie scelte, non foss’altro perché ha implicato una drastica modifica dei modi, dei tempi e delle forme dell’agire quotidiano. Anche l’Accademia Europeista del Friuli Venezia Giulia, attiva da oltre trent’anni a Gorizia e in tutta la regione, ha dunque dovuto riconsiderare le principali linee della propria azione, cercando di utilizzare questi mesi difficili, in cui il rapporto con i soci e con la comunità si è fatalmente rallentato, per gettare uno sguardo più lungo sia verso il passato sia, soprattutto, verso il futuro del processo d’integrazione europea, che costituisce la ragion d’essere fondamentale dell’associazione e dell’impegno dei suoi membri.
Da questo sforzo è nato il volume Repubblica Europea, che l’Accademia ha recentemente pubblicato. Esso raccoglie i contributi di diciotto autori (docenti, scrittori, letterati, giornalisti) le cui diverse riflessioni e il vario sentire hanno offerto un affresco multiforme, ricco e composito della realtà presente e futura della Repubblica Europea. Il titolo, non certo scelto per caso, intende rappresentare in modo chiaro ed univoco l’obiettivo da raggiungere: quello di costruire non già un’alleanza, per quanto stretta, di Stati, ma una Res Publica comune, che unisca tutti i cittadini europei.
Del resto, era questa l’idea espressa fin dall’inizio da Jean Monnet, uno dei padri del processo d’integrazione, quando nel 1952 affermava: “Noi non coalizziamo gli Stati, noi uniamo gli uomini”. E unire gli uomini (e le donne,
naturalmente!) vuol dire, in un contesto democratico, creare istituzioni che siano rappresentative della volontà e delle scelte dei cittadini europei. Ciò significa che l’UE, per quanto attiene alle sue competenze, che vanno comunque estese in modo effettivo a settori come la politica estera e la difesa, non può sottrarsi ai principi che sono alla base del costituzionalismo liberale, quali la separazione dei poteri e la responsabilità dei governanti nei confronti dei governati.
Da ciò discende la necessità di ripensare le istituzioni europee sulla base di un paradigma esplicitamente federale, cioè di quel meccanismo costituzionale che rende i vari livelli di governo, ciascuno per il proprio ambito, responsabili nei confronti dei cittadini. Ciò deve avvenire a livello locale, a livello nazionale ed anche a livello europeo. È questa la multi-level governance democratica, per cui le decisioni fondamentali in materia di politiche e di beni pubblici devono essere assunte da soggetti dotati di un’esplicita legittimazione proveniente dai cittadini in modo diretto e non filtrato da organi e istituzioni di livello inferiore (cioè, in questo caso, dai livelli nazionali) che rispondono a logiche spesso autoreferenziali. Il rischio, ove ciò non si verifichi, è quel “deficit democratico” che spesso è stato rimproverato all’Unione e che è sempre più frequentemente sfruttato dai nazionalisti (quelli che ipocritamente si definiscono oggi sovranisti) per indebolire le istituzioni comuni e per mantenere divisi i popoli europei a tutto vantaggio di potenze ed interessi esterni all’Europa.
Ma costruire una Repubblica Europea non implicherebbe il rischio di appiattire e omologare quella ricchezza di tradizioni, lingue, culture che è da sempre il portato dell’identità degli Europei e della loro storia? Niente affatto! Perché la Repubblica di cui stiamo delineando la configurazione sarebbe “unita nella diversità”, come recita già oggi il motto dell’Unione, volendo sottolineare il rispetto di quella varietà che, al contrario, sono storicamente i singoli Stati nazionali ad aver tentato di comprimere e di ridurre ad un canone unico. La Repubblica Europea, infatti, non potrebbe che essere una federazione di minoranze, nessuna delle quali capace di omologare ed annullare le altre, ma tutte interessate a preservare le autonomie e le specificità di popolazioni, regioni e territori, in un contesto che metta però in comune quelle politiche e quelle scelte che solo se assunte e perseguite insieme possono risultare efficaci.
In una Repubblica così concepita una regione come il Friuli Venezia Giulia e una città come Gorizia vedrebbero ulteriormente rafforzato il loro ruolo, proprio grazie alla loro identità storicamente plurale. Da questo punto di vista e in questa prospettiva l’appuntamento della Capitale europea della cultura 2025 rappresenta un’opportunità per una maturazione e un salto di qualità che tutti noi dobbiamo saper compiere, affrontando tematiche che vadano oltre il contingente e possano portare un contributo originale e fattivo alla crescita di una coscienza civile europea.